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La fitoterapia cinese e l’agopuntura in aiuto alla farmacologia classica

Published by Catherine Bellwald at 28 Luglio 2016

Questo è un caso particolare che mi è recentemente capitato e che considero a tutti gli effetti un  caso pilota adattabile  alle più svariate situazioni cliniche dove il paziente perché fortemente compromesso è in terapia con più farmaci contemporaneamente.

Questo della politerapia è un metodo sempre più usato in diversi ambiti clinici per limitare il dosaggio di alcune sostanze e ottimizzare l’effetto delle singole sostanze farmacologiche. Sin dai tempi più remoti in Cina questo principio veniva utilizzato nella creazione di quello che  oggi prende il nome di Ricetta di Fitoterapica Cinese  e in inglese di Cinese Herbal Formulas.

La politerapia ai giorni nostri si utilizza in neurologia per esempio nella malattia di Parkinson, si usa in oncologia, nei centri specializzatia nella cura dell’ insonnia o di problematiche complesse come la fibromialgia e ovviamente si usa in psichiatria per  i disturbi gravi del comportamento e del tono dell’umore.

Il mio paziente è un giovane uomo affetto da depressione bipolare severa, una famigliarità positiva per disturbi del comportamento, pregressi ricoveri ospedalieri, la sua storia clinica è stata travagliata con episodi di euforia aggravati dalla terapia antidepressiva.  Fino a quando il suo attuale psichiatra non ha trovato un ottima risposta terapeutica data dalla associazione di 2 farmaci a pieno dosaggio; un antidepressivio e un neurolettico.

Vista le elevate dosi di farmaco è stata provata già in due riprese successive la riduzione della terapia ma in entrambi i casi con un peggioramento anche grave dei sintomi. Il tutto vissuto con grande frustrazione da parte del paziente e molto timore da parte dello specialista che lo aveva in cura.

Il paziente giunge nel mio studio per sua personale scelta, nell’ottica di stare meglio e  di poter eliminare i farmaci. Appoggiai la sua scelta con la chiara richiesta di eseguire un trattamento prolungato e continuativo atto a ribilanciare il tono dell’umore in particolare dal punto di vista dei neurotrasmettitori centrali e cosí ridurre i suoi elevati dosaggi di antidepressivo e soprattutto di neurolettico pericolosi e fastidiosi per il rischio collaterale di attacchi di sonno improvvisi.

Dopo circa 6 mesi di cura decido di  mettermi in contatto con il suo specialista psichiatra descrivendo il nostro progetto  di riduzione della terapia. In quell’occasione la reazione fu molto scettica, non vi era da parte del collega alcuna conoscenza sui lavori scientifici a tale riguardo. E neanche della possibile efficacia dell’agopuntura come regolatore del tono dell’umore sia in senso depressivo che euforico.  Decidiamo di comune accordo di prolungare a un anno il lavoro di preparazione con agopuntura prima di procedere alla riduzione della terapia, visto e considerato la sua importante storia clinica di oltre 10 anni di terapia farmacologica.

Dopo un anno quindi mi rifaccio viva affermando che il momento mi pareva buono, in un anno il paziente si era mantenuto molto stabile e determinato e a mio parere bisognava tentare ora o mai più. In caso contrario si rischiava di perdere la fiducia del paziente che era ormai deciso a fare questo importante passo anche da solo.

La sua proposta di specialista psichiatra era quella di ridurre gradualmente uno solo dei 2 farmaci togliendolo in 2 mesi completamente per poi ridurre il secondo farmaco completamente e vedere cosa succedeva.  Ma come ho risposto io” ho impiegato mesi per far passare il messaggio che i farmaci di questa portata e dosaggi si riducono e non si tolgono completamente”! Che senso ha questa procedura?.

Lo psichiatra mi diceva che questa è la prassi e solo in questa maniera possiamo capire quale è il farmaco più utile. Mi sembrava una follia e soprattutto un fallimento annunciato che non ero disposta a vedere sul mio paziente e neanche lui avendolo già vissuto sulla sua pelle. Ho quindi insistito dicendo che quello che sappiamo con certezza  dalla storia clinica del nostro paziente comune, era che il singolo farmaco produceva nel caso dell’antidepressivo uno stato euforico e nel caso del neurolettico uno stato apatico con peggioramento della depressione. La combinazione delle due molecole era stata la formula vincente perché abbandonarla?

In medicina cinese la ricette fitoterapica  è considerata come fosse una singola sostanza, una volta trovata la ricetta giusta per un paziente non si modifica più e nel desiderio di ridurre il dosaggio si riduce l’insieme delle diverse sostanze e non una singola sostanza alterando la ricetta in modo grossolano. Analogamente possiamo pensare alle due molecole nella percentuale utilizzata come una singola molecola. Quindi si trattava di ridurle contemporaneamente mantenendo le stesse percentuali dei due farmaci.

E così abbiamo fatto con il consenso  dello specialista psichiatra. Sono passati ormai quasi 4 mesi dalla riduzione del dosaggio prima a 3/4 e poi a 1/2. Il nostro paziente gode di un ottima salute psicofisica, si sente molto più energico e meno addormentato alla mattina in particolare. Segnala inoltre un miglior adattamento allo stress e una vita sessuale molto più soddisfacente e ricca di prima.

Nel complesso mi sento  molto soddisfatta e lascio per l’anno prossimo un ulteriore riduzione del dosaggio se possibile a 1/4 senza fretta e senza decisioni affrettate. Sono convinta che dalla antica medicina cinese si possano non solo utilizzare alcune meravigliose ricette fitoterapiche ma anche comprendere un modo diverso di applicare la  farmacologia moderna riducendo gli effetti tossici e collaterali delle singole sostanze o molecole.

Ritengo inoltre che la collaborazione con molti, anzi direi moltissimi specialisti potrebbe essere la nuova formula vincente per ridurre le terapie anche più complesse al minimo, garantendo il benessere del paziente.

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