Statisticamente tra tutte le patologie ischemiche, la cardiopatia ischemica resta una delle più diffuse, con morbilità e mortalità più elevate ed è quella che più frequentemente porta al decesso, più di qualunque altra patologia e, anche in caso di esito non letale, è responsabile di conseguenze gravi o gravissime, come ictus o insufficienza renale.
Quando si parla di cardiopatia ischemica si intende quella situazione in cui alle cellule miocardiche viene a mancare il corretto apporto sanguigno, per cui le cellule “soffrono” in modo più o meno grave a seconda di quanto sia ridotto l’afflusso di sangue. Quando questo afflusso si interrompe, in termini quantitativi e temporali sufficienti, le cellule muoiono e il cuore perde la sua capacità di contrarsi in modo efficace determinando quello che viene comunemente detto “infarto” e che può portare al decesso immediato se il numero di cellule morte è sufficientemente elevato.
In molti casi di infarto acuto del miocardio, la morte sopraggiunge per arresto cardiaco a meno che non si intervenga in tempi rapidissimi. Per questo negli ultimi anni sono stati creati molti centri dedicati al trattamento intensivo e le ambulanze sono ormai tutte dotate di defibrillatore.
Anche i corsi di primissimo soccorso sono cambiati in questo senso e pure gli esami diagnostici obbligatori in ambito sportivo, mentre dal punto di vista informativo sono abbastanza frequenti gli interventi di sensibilizzazione nei confronti del pubblico in merito di dieta, movimento e riduzione dello stress.
Tuttavia, nonostante tutti questi cambiamenti, la frequenza delle cardiopatie ischemiche continua ad aumentare in tutti i paesi occidentali e, con esse, i costi sanitari.
In ambito cardiaco, anche l’agopuntura non dovrebbe essere sottovalutata, come strumento preventivo ma anche di ausilio alle normali terapie farmacologiche, come al contrario avviene dato che l’agopuntura viene erroneamente associata ad una blanda “terapia del benessere” per soggetti con problematiche di livello ed entità lievi.
Nulla di più sbagliato. Negli Stati Uniti, ad esempio, l’agopuntura viene prescritta ai soggetti a rischio o con esiti da infarto, con la stessa importanza dedicata alle indicazioni dietetiche, motorie e comportamentali. La letteratura scientifica in merito comincia ad essere piuttosto nutrita di studi e lavori in cui si dimostra l’efficacia dell’agopuntura nella riduzione dei rischi di ischemia e aritmie, con particolare rilevanza nel trattamento delle angine instabili, notoriamente poco responsive alla terapia farmacologica, ma anche nella riduzione del rischio di insorgenza nei soggetti cardiopatici.
Anche con un solo punto (Neiguan o PC6 nella nomenclatura internazionale) il rischio cardiologico diminuisce sensibilmente, secondo alcuni per una migliorata perfusione del muscolo cardiaco e quindi conseguente miglioramento del trofismo tissutale, secondo altri per una risposta secondaria ad un miglioramento psicologico ed emotivo. Quale che sia la ragione, l’effetto positivo dell’agopuntura sulle cardiopatie ischemiche è dimostrato da sempre più numerose pubblicazioni, così come la quantità di effetti biochimici indotti in cavie da laboratorio. Secondo il comune approccio scientifico non vi è ancora una spiegazione chiara di come certi effetti vengano raggiunti dall’agopuntura ma, secondo la stessa letteratura, questi effetti sono del tutto innegabili.
Una proposta terapeutica di ampio respiro e del tutto dedicata al raggiungimento del massimo potenziale di salute per chi ne è destinatario, dovrebbe comprendere tutte le possibilità terapeutiche, e quindi includere, oltre alle terapie farmacologiche più calibrate e precise e ad uno stile di vita irrinunciabilmente impostato verso la massima sanità, anche l’agopuntura, allo scopo di limitare i rischi cardiovascolari nei soggetti che hanno la maggior possibilità di svilupparne come obesi, diabetici o ipertesi.