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Un caso di cefalea eredofamigliare: l’efficacia dell’agopuntura

Published by Catherine Bellwald at 6 Agosto 2018

Da circa 8 mesi sto seguendo un nuovo caso di cefalea che mi ha davvero messo alla prova e che ritengo sia un ottimo esempio di come il lavoro in casi cosí complessi e strutturati come in disturbi presenti nella costituzione non solo del paziente ma della sua intera famiglia, possano essere difficili da trattare ma come ne valga grandemente la pena.

Si tratta di un uomo di 45 anni che soffre di cefalea del weekend da oltre 20 anni, sia suo padre che suo fratello ne sono affetti nello stesso modo e hanno avuto il primo un giovamento con l’agopuntura e il secondo un franco insuccesso. Un vissuto che da un lato apriva una speranza e dall’altra dava un vissuto  famigliare poco rassicurante.

Ci sono volute almeno 8 sedute e un lavoro aggiuntivo con erbe cinesi e con coppette sulle spalle per raggiungere un netto miglioramento del sintomo doloroso e franca riduzione della terapia farmacologica.

E’ stato istruttivo vedere per esempio che al trattamento inizialmente bisettimanale che poi è diventato dopo la terza settimana solo settimanale, prevalentemente per motivi lavorativi ed organizzativi, l’aggiunta della terapia fitoterapica allineata con la costituzione del paziente e con i sintomi tensivi muscolari ha da subito consolidato il lavoro con gli aghi migliorando l’intensità della cefalea ma non il suo ritmo che la faceva comparire il sabato mattina.

Il successivo passo è stato quello di lavorare fisicamente anche sulla muscolatura alta del torace e cervicale con tecniche manuali di miofibrolisi e di coppettazione.  La decisione di aspettare che l’intensità della cefalea diminuisse prima di inserire questo lavoro ha dato la possibilità di chiudere il cerchio senza peggiorare i sintomi dolorosi. La tensione muscolare causata dal continuo dolore è infatti capace di generare nella compagine muscolare e tendinea dei punti definiti “trigger” ovvero dei punti  che alla stregua di bottoni sono capaci di generare il dolore in maniera indipendente e in un certo modo sono una sorta di memoria fisica del dolore.

Quale è stata l’evoluzione?

Inizialmente si presentavano sporadicamente dei weekend di completa assenza della cefalea che davano grande slancio e gioia al paziente. ma quando arrivavano i weekend della cefalea sembrava che il paziente non fosse più disposto a soffrire. La fiducia si perdeva molto facilmente e lo sconforto prendeva piede a rapidità impressionante.

Questo succedeva dopo circa 2 mesi di lavoro settimanale e un buon terapeuta sa che il percorso è lungo e non tutto in discesa. E’ assolutamente normale, ci sono momenti in cui vedi la meta e momenti in cui sparisce dalla vista come in una strada di montagna. esattamente uguale.

Ho insistito sul far osservare al mio paziente il tipo di cefalea, la sua localizzazione, la sua intensità e la paura che gli generava. E passo passo il dolore quando arrivava iniziava ad essere molto meno aggressivo, ben localizzato e quindi più facile da trattare con gli aghi, di breve durata ovvero compariva alla domenica sera anziché al sabato mattino. Infine era diventato possibile considerare anche l’ipotesi di non assumere la terapia senza andare in panico.

Ecco che mese dopo mese, i weekend di benessere si contavano sempre più numerosi e quelli “no” sempre meno fastidiosi. Nell’insieme il paziente riduceva sempre di più la sua terapia farmacologica migliorando il suo stato di benessere generale e anche la sua prestazione sessuale che forse risentiva sia della cefalea che della terapia farmacologica protratta per anni.

Oggi continuiamo con sedute di mantenimento vista l’origine genetica che passeranno a una seduta ogni  3 settimane. Ritengo sia indispensabile in questi casi non avere fretta e  non cedere anche come terapeuta e medico all’inganno del “cambiamo terapia” per paura di non riuscire, saper pazientare anche noi e imparare ad accompagnare il paziente in questa lunga strada non sempre facile che però regala a tutti grandi soddisfazioni.

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