Con ottobre sono ormai 9 mesi di metti e togli la mascherina e di distanziamento sociale e, al di là delle molteplici polemiche di ogni tipo sulla sua utilità, pericolosità e inconstituzionalità.
Personalmente ho osservato che anche se ascolto parlare il paziente stando a più di un metro e indossando rispettosamente le nostre mascherine oppure al di là del telefono, io ascolto nello stesso identico modo, cercando di non usare solo le orecchie.
Anzi direi che mi permette di attivare con maggior attenzione l’ascolto venendo a mancare uno dei sensi che usavo di più, la vista.
L’attenzione a dove metto le mani, al non toccare meccanicamente il viso, gli occhi o la mascherina mi tengono sul pezzo e non mi fanno entrare in modalità meccanica mai.
Mi accorgo che la parola, il modo in cui la posso usare, é certamente la forma di aiuto più grande e cerco di farne uso corretto, sfruttando ogni piccola occasione per far passare qualcosa. E’ come se non ci fosse più spazio per l’inutile e per il banale.
Mi viene in mente che la distanza dal cuore é indipendentemente dai centimetri che ci separano. Ricordiamo quante volte in passato le cene di famiglia, fossero l’occasione per litigare perché in realtà distanti anni luce?
Quante volte in mezzo alla folla che fosse metropolitana o discoteca ci siamo sentiti soli, profondamente soli? E quante maschere abbiamo sempre usato senza vederle e senza mai buttarle via?
I veri danni da mascherina genericamente parlando (il che significa che ogni caso va sempre visto nella sua specificità) non sono legati alla mancanza di ossigeno o all’eccesso di anidride carbonica ma ai nostri pensieri e idee.
Non posso pensare che la mia volontà e individualità possano essere danneggiate e azzerate da un pezzetto di carta o di tessuto posto sulla naso e sulla bocca anche se é la legge a invitarmi a indossarla in pubblico.
Non posso guadare chi la indossa come fosse un idiota e io l’illuminato di turno e neanche guadare chi non la indossa come un delinquente.
Per non parlare poi del mal utilizzo della mascherina, questo si che può essere dannoso per sé stessi oltre che per gli altri:
quando la tieni per lungo tempo in macchina da solo, oppure sotto il sole all’aria aperta completamente solo e poi quando ti serve sul serio ovvero nel momento in cui ti avvicini ad altre persone, per parlare la abbassi bruscamente.
Quando la tocchi in continuazione ( alcune persone lo fanno molto più di 3 volte al minuto) e le mani (con o senza guanti) hanno toccato sedie, tavoli, denaro, maniglie senza essere igienizzate.
Quando la appoggi ovunque oppure la tieni serenamente sul collo sudato e non ti curi di igienizzarla e neanche di cambiarla.
Quando indossandola ti senti sicuro anche in presenza di persone sconosciute che non la indossano e che ti parlano da vicino.
Quando non ti ricordi di toglierla appena non serve e ti dimentichi di averla, la consideri un’abitudine o peggio un indumento da sfoggiare perché in tinta con i tuoi vestiti.
Quando devi fare sforzi fisici magari prolungati e ti dimentichi che la stai indossando.
Credo che oggi la mascherina vada usata con rinnovata attenzione, autentica consapevolezza e intelligenza mirata. Un’occasione per farci stare più svegli e per vedere la maschera che indossiamo senza saperlo (e lo facciamo tutti, neh…). Quella di mamma, moglie, insegnante, medico. Vederla senza criticarla, solo vederla. Sapere di indossarla e saperla togliere per guardarsi veramente. Togli e metti, vedi e non vedi, senti e non senti e allora ascolti.
Impari, impari dai tuoi errori, sfrutti questo particolare momento per guardare il gioco della vita. Per vedere le emozioni farsi schiuma e rubarti le energie, per cadere e rialzarti, per arrabbiarti e sentirti scoraggiato, per sapere che sei fragile e vorresti non esserlo come tutti i bambini e gli uomini in cammino.
Perché la distanza con se stessi e con altre persone è tanta anche se non la vediamo fisicamente: altro che distanziamento sociale.