Seguo a domicilio da diversi mesi una paziente di 90 anni; abbiamo lo stesso identico colore degli occhi, quasi fossimo parenti. La sua cura mi porta via più tempo rispetto ai pazienti che tratto a studio ma è sempre un piacere andare a trovarla nella sua casetta dal sapore d’altri tempi.
So che mi aspetta sempre con piacere, nella sua cucina dove trovo l’accoglienza di occhi che hanno vissuto e la stufa sempre accesa; nonostante la differenza di età riusciamo a parlare di tutto con grande sintonia.
Ogni seduta è un’occasione per chiedere del suo passato che adora raccontare. Si tratta di frammenti di un tempo che a noi cittadini del 2021 non pare possibile che qualcuno possa avere realmente vissuto sulla propria pelle. Lei a soli 7 anni andava a scuola tutte la mattine a piedi portando sulle spalle una latta di 10 litri di latte appena munto dai suoi genitori, che consegnava in latteria. Al rientro da scuola, tutti i giorni con farina e acqua e un pizzico di sale, silenziosamente e come una piccola cuoca faceva con le sue mani le tagliatelle. Tagliava e sminuzzava finemente un prezioso pezzettino di lardo e insieme alle verdure dell’orto che sua madre aveva tagliato già a pezzi, preparava la minestra che tutti silenziosamente mangiavano intorno alla stufa. Poi insieme ai i suoi 7 fratelli andavano nella stalla e lì la mamma cuciva e il papà raccontava loro qualche storia e insieme ripetevano il rosario. Alle 19 era già l’ora di andare a letto, tutti i fratelli nello stesso grande letto con un materasso fatto di grano turco, accuratamente scaldato con il “prete”.
“Non si ammalava mai nessuno” mi dice “nonostante non avessimo ne riscaldamento ne acqua calda” e mi sembra di sentire la sua voce ripeterlo sotto alla mascherina. Tutte le sere magari non la stessa minestra ma quasi, i cui avanzi servivano da prima colazione per i suoi genitori, lasciando solo ai bambini il nutrimento del latte con il pane. A mezzogiorno qualche uovo e le patate. La carne di pollo solo a Natale.
Ci rendiamo conto?
Oggi questa donna é l’esempio di come la semplicità del cibo e del lavoro all’aperto, che continua a svolgere per aiutare il figlio nella gestione di un piccolo vigneto nonostante l’evidente fatica fisica, siano un toccasana. Si alza ancora tutte le mattine ben prima delle 7, cammina diritta e senza titubanze con due gambe che farebbero invidia a numerose 60 enni, non un gonfiore, non una vena varicosa, non un callo. Solo le mani rigide e artrosiche e le spalle dolenti mostrano gli anni del duro lavoro al freddo.
Si sente sola da quando il marito è ricoverato in casa di riposo dopo un ictus cerebri e da quando, a causa delle restrizioni legate al Covid, le sue quotidiane visite sono state grandemente limitate, cosi come gli incontri con i suoi figli e parenti. Si fa forza ma ogni tanto nei suoi occhi verdi colgo la difficoltà di adattarsi a questa nuova vita e alle sue assurdità.
Lei, come molti pazienti, è un pozzo infinito di informazioni e di storie vissute, storie di vita che non possono lasciare indifferenti e che sono un aspetto del mio lavoro che adoro. La medicina narrativa consente ai pazienti un poco alla volta di raccontarsi senza paura di essere giudicati, di esprimere le loro vere paure, di esprimere quello che con i parenti non osano dire. Un’occasione di ascolto, di riconoscimento di alcune dinamiche umane. Un’occasione unica per fare passare messaggi importanti e magari ingombranti con la leggerezza e il giusto tempismo. Uno strumento di comprensione e di crescita individuale senza uguali, che funziona nei due sensi e che migliora la capacità di lenire non solo i dolori fisici.
L’agopuntura anche a 90 anni è ancora un grande alleato, migliora la sua cervicalgia di cui soffre molto meno, la sua cefalea che non lamenta da tempo, la funzionalità intestinale, i dolori alle spalle e il tono dell’umore, il tutto senza alcun effetto collaterale. Un’esperienza che mi conferma quanto l’agopuntura sia davvero utilissima in età avanzata, oltre che un intervento allo stesso tempo delicato ed energizzante che non ha paragoni. Lei, nella sua incredibile lucidità e nella sua meravigliosa semplicità, sembra capirlo più di molti letterati e scienziati e questo mi addolcisce il cuore.
Anche se, una volta messi gli aghi, la seduta viene sempre fatta in silenzio e solitudine e da sempre si dice che l’agopuntura non è una medicina della parola, mi sento di affermare il contrario; non è il numero di parole e il tempo dedicato a questo scambio che dobbiamo considerare, ma il modo in cui si entra in contatto.